«Andate a lavorare!», ci urlavano gli operai dalle impalcature dei palazzi che nei primi anni 70 venivano su come funghi sul Litorale di Ostia, tra la pineta e il piccolo stadio della Stella Polare. Ogni giorno che con Franco Arese passavamo di corsa da quelle parti venivamo sempre sfottuti dal primo che arrivava. Lui, Arese, aveva trascorso quasi l’intero inverno a Ostia, a preparare l’assalto a quel titolo europeo sui 1.500 m che puntualmente arrivò nell’estate del ’71 a Helsinki. Io, giovincello, gli andavo dietro per imparare. Erano i tempi pionieristici della corsa per tutte le stagioni e per tutte le taglie. Alla Stramilano, che sarebbe nata solo l’anno dopo, sembrava più una corsa in costume che una gara su strada. Nel 1975 la parte agonistica iniziò a prendere piede, ma io fui costretto a difendere la mia partecipazione dalle accuse della Rosea, secondo la quale era immorale per un corridore della pista mischiarsi con “i puzzapiedi”.
Questi flash di come eravamo mi sono ritornati alla mente qualche settimana fa mentre corricchiavo sui magici viali di Villa Borghese, a Roma. L’ultimo sole di fine primavera allungava all’infinito le ombre dei pini sul brecciolino. I turisti non affollavano più il piazzale del Museo Borghese e dal Parco dei Daini si scorgevano solo, in lontananza e oltre la recinzione, le sagome dei militari a guardia delle ambasciate. Mentre dal Pincio frotte di jogger continuavano a risalire il grande parco fin sopra Piazza di Siena.
A quell’ora, verso l’imbrunire, Villa Borghese è nelle nostre mani, così come lo è la mattina presto. Libera finalmente da cicli e tricicli, da risciò e cart, a pedali ed elettrici. Verso sera si ritirano anche i pony con lo sguardo triste e le giostre smettono di girare. Quando corri ti accorgi che nulla è come il giorno prima. Cambiano i luoghi e le persone. E allora puoi imbatterti in Romano Prodi che sbuffa a 6′ al km o in Luca Montezemolo che azzarda il passo di marcia.
Nessuno sfotte. Nessuno giudica. Nemmeno il grassone che corricchia col cellulare stampato sull’orecchio, imprigionato nella tuta antitraspirante col termometro che segna 30 gradi. Come è cambiato il mondo da quei primi anni 70. Oggi correre non è più solo passione, ma stile di vita. Per molti una necessità. È un mondo nuovo. Profondamente diverso da quello di qualche decennio fa. Corriamo tutti. Giovani, adulti e giovani anziani. Dovremmo essere più bravi anche a livello agonistico. Invece no. Non ci sono punti in comune tra un’attività diffusa e un’attività d’élite. Almeno dal punto di vista dei risultati. Non è solo un problema italiano, ma europeo. Il punto è che non solo l’Africa ci ha spazzato via, ma le nostre punte vanno mediamente più piano di una volta. Da escludere quindi, come causa, la mancanza di motivazioni.
CUOREMATTO – La rubrica di Franco Fava (Correre giugno 2013 – pg. 210)