Dopo i 40 anni è fondamentale migliorare il costo energetico della corsa e l’efficienza meccanica per perfezionare il proprio rendimento senza aggiungere carico di lavoro e aumentando la capacità di tenuta. Soprattutto in un momento in cui le performance possono risultare ferme. Sul numero di Correre di febbraio Orlando Pizzolato ci ha spiegato come: ecco una sintesi del suo intervento.
Stallo e invecchiamento
Per avanzare nelle prestazioni i podisti ambiziosi dedicano energie ai lavori sugli adattamenti fisiologici. Per un amatore però non è semplice sostenere un carico che, di anno in anno, comporti un miglioramento. Prima o poi si arriva ad avere prestazioni stagnanti e si continuano a cercare stimoli adeguati, rischiando di stressarsi sia fisicamente sia psicologicamente. Dopo i 40 anni infatti si può essere frenati dall’avere poco tempo per allenarsi, dalle minori capacità di recupero e dagli effetti dell’invecchiamento. Anche se non per tutti i master è così, ovviamente. Gli effetti dell’invecchiare sull’efficienza fisica sono sostanzialmente 3: – la perdita di efficacia della contrazione del cuore; – il calo della forza muscolare; – la rigidità dei tessuti corporei. Prima o poi tutti si confrontano con queste situazioni, accettando spontaneamente un calo di rendimento. C’è però un aspetto che può far mantenere comunque un buon livello senza allenarsi di più: appunto, migliorare il costo energetico della corsa.
Ossigeno e frequenza cardiaca
In laboratorio è possibile controllare il consumo di ossigeno a varie velocità. Sul campo, invece, si può prendere a riferimento la frequenza cardiaca, perché il cuore a ogni pulsazione invia anche ossigeno mescolato nel sangue. In questo caso possiamo considerare la frequenza cardiaca pari al consumo di ossigeno. Si possono quindi compiere valutazioni specifiche verificando come la frequenza cambi a velocità crescenti, oppure registrare le pulsazioni per alcune sedute e confrontarle nel tempo. Anche l’allenamento organico ha effetti sull’efficienza aerobica. L’andamento della frequenza di una sessione (ad esempio un medio) è diverso da quello di una prova analoga corsa dopo 2 mesi a seguito di sedute specifiche. Tuttavia un podista evoluto ed efficiente affronta spesso il medio (è sempre un esempio) allo stesso ritmo e con pulsazioni analoghe. Questo significa ristagno prestazionale ed è proprio qui che si vede il miglioramento dell’efficienza meccanica. Il ritmo non cambia, ma si riduce la frequenza cardiaca. Ciò mostra come si consumi meno ossigeno spendendo meno energie, oltre alla crescita della capacità di tenuta. Più lunga è la distanza, maggiore sarà l’effetto del ridotto costo energetico.
Sui vantaggi prestazionali
Ci sono studi che mostrano con chiarezza i vantaggi prestazionali di un atleta che migliora il costo energetico. Sono molti quelli sui top runner. Di recente sono apparse anche ricerche su amatori di media efficienza che, dopo alcune settimane di lavori particolari, hanno ridotto il consumo di ossigeno mediamente del 5-8%. Un abbassamento che ha portato a un miglioramento di oltre 2’ su una prova di 10 km. Gli allenamenti proposti erano: – potenziamento muscolare (2 volte alla settimana); – sprint in salita (1 volta); – allunghi in pianura (1 volta); – seduta di potenza e capacità aerobica, a scelta (1 volta); – lungo lento di 1:10’. I podisti erano divisi in 3 gruppi. Uno ha svolto il ciclo per 3 settimane, un altro per 6 e il terzo per 8 settimane. I miglioramenti sono stati proporzionali alla durata del ciclo di allenamento, quindi gli incrementi più significativi sono stati a favore del terzo gruppo (+5,7%).
In sintesi
Migliorare il costo energetico e ottimizzare l’efficienza meccanica è un aspetto tecnico cui si dovrebbe dedicare attenzione sempre ma, soprattutto, quando l’allenamento fisiologico mostra miglioramenti ridotti, se non nulli. A questo punto non si aumenta il carico quantitativo e qualitativo, ma lo si affina. Lo si fa curando forza ed elasticità, riducendo le dispersioni di energia e prestando attenzione all’assetto posturale. Si tratta di una modalità di lavoro che può ridare carica psicologica quando ci si trova in fasi di stallo e anche quando, come in questo periodo, non si hanno obiettivi agonistici da perseguire.