Correre di aprile dedica 22 pagine allo Speciale “i ragazzi e la corsa”. Per l’occasione abbiamo incontrato Marisa Muzio, psicologa dello sport, per cercare di capire quali sono i vantaggi e limiti di avere dei genitori ex atleti e consapevoli.
Marisa Muzio, in gioventù nuotatrice di livello, si è presto indirizzata alla psicologia: a lungo docente universitaria, è stata promotrice del primo master in Psicologia dello sport in Italia, che si svolge dagli anni Novanta.
Quanto conta per un genitore sapere di sport, per cultura personale o esperienza specifica?
«Può essere un vantaggio, per la sensibilità e l’interesse al tema può consentire scelte ponderate. Chi ha fatto e magari fa ancora sport, a livelli adeguati all’età, senza esasperazioni, sceglierà serenamente. Diverso è il caso del genitore che ha svolto attività a livello agonistico, magari con risultati rilevanti. Il genitore campione appagato non ha rivalse, differente è il caso di chi non ha colto i risultati attesi, perché entrano in gioco frustrazioni che nessuno è disposto ad ammettere ma che influenzano scelte e comportamenti. Non dimentichiamo che i giovanissimi amano onorare le attese dei genitori, che scelgono per loro. Ai piccoli basta divertirsi, giocare, stare con i coetanei, anche in una dimensione competitiva.
Gli errori più frequenti dei genitori?
«Se il figlio, su suggerimento della madre o del padre che ha praticato sport, si avvia lungo la strada dell’emulazione, possono nascere gravi incomprensioni. I genitori spesso commettono lo sbaglio di lasciarsi andare ai ricordi, o peggio ancora alla nostalgia. Frasi tipo “Ai miei tempi…” sono da evitare, perché tutto è cambiato, non ha senso trasmettere ai figli la propria esperienza, non vale niente.»
Veniamo ai genitori senza una specifica cultura sportiva.
«Hanno ritrosie, onorano i luoghi comuni, magari convinti che sudare faccia male, spesso il nuoto è una proposta quasi obbligata perché fa bene, ha limitate controindicazioni, nessuno può eccepire, men che meno il figlio che in acqua magari ci va malvolentieri.»
Come proporre a un figlio la pratica della corsa?
«Dato che non bisogna insegnargli come si corre, perché lo sanno già, si può uscire in sua compagnia per divertirsi insieme, senza altre richieste. Quando è il momento, verso i dieci anni, di assecondare le attitudini, occorrono tecnici adeguati, che propongano giochi in pista: le staffette e le gincane sono buoni esempi. Con modalità didattiche che non incidano troppo. La corsa deve essere libertà, mai costrizione.»
L’intervista completa su Correre di aprile