Editoriale 3.0 – Parola di Correre: Sì, la corsa aiuta a vivere

Editoriale 3.0 – Parola di Correre: Sì, la corsa aiuta a vivere

29 Settembre, 2016

NO, NIENTE PODISTI FOTOGRAFATI IN CIMA ALLE MACERIE della propria casa. Il dramma che ci ha gelato il sangue in fondo all’estate appare su questo numero in forma di parole: quelle di Vittorio Camacci nella rubrica lettere (pag. 190), quelle di Giuseppe Tamburino nell’abituale spazio Running motivator, quelle soprattutto di Bruno D’Alessio, storico patron dell’Amatrice-Configno, la cui trentanovesima edizione era andata in scena tre giorni prima della tragedia. Bruno, lo avrete probabilmente appena letto nella pagina a questa precedente, ha un sogno: riuscire a organizzare la quarantesima edizione il 24 agosto 2017, a un anno esatto dal terremoto. E avere al via, oltre ai corridori bravi che nel tempo hanno saputo interpretarla, la nazionale italiana di corsa in montagna che tanta stima e notorietà si è guadagnata questa estate, con il gesto bello dei gemelli Dematteis e i piazzamenti internazionali che anche noi abbiamo ritenuto giusto ricordare (pag.122).

Una presenza strategica, quella dei nostri eccellenti scalatori, perché, qualora la candidatura di Roma 2024 sopravviva alla Politica (difficile, dopo le parole della “sindaca” Raggi il 21 settembre), servirebbe a proporre la corsa in montagna come una delle quattro discipline che ogni organizzazione dei Giochi ha diritto a inserire. Per quello che ci riguarda, noi di Correre ci siamo, caro Bruno.

Come ci siamo stati nel 2009, quando sostenemmo l’organizzazione della L’Aquila- Onna, corsa di solidarietà realizzata da Max Monteforte, del cui progetto Purosangue ci vantiamo di essere media partner: ottanta pullman partiti da tutta Italia.

Come ci siamo stati nel 2012, quando abbiamo ripercorso assieme ai podisti dell’Emilia-Romagna i luoghi del cratere sismico, le storie dei nostri lettori colpiti dalla tragedia, le tende da gruppo podistico utilizzate alla bisogna come tetto.

E sfogliando con la memoria il ricordo di quelle giornate di lacrime e polvere, viene facile capire come nel tempo sia cambiata la percezione della corsa. Nel 2009 ancora ci si vergognava di andare fuori a correre tra le macerie, ma già nel 2012 i podisti modenesi, ancora timorosi di offendere la sensibilità degli altri abitanti della tendopoli, si sentivano da questi invitati a farlo, evidentemente perché un runner faceva ormai parte del panorama e vederlo correre avrebbe aggiunto un pizzico di normalità utile a diluire un dolore immenso.

Nei giorni di fine agosto mi è sembrato di vedere in tv che tra le rovine di Amatrice si corresse già, che la corsa fosse parte integrante della voglia-fretta di ripartire, ma rispetto il sentimento di Vittorio Camacci, che la corsa so che ha nel sangue, ma dichiara di non sentirsi pronto a mettere di nuovo le scarpette. Al “marzulliano” dilemma: «La vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere?» non ho mai dato peso, ma devo riconoscere che la corsa aiuta a sognare di vivere meglio.
Ce lo raccontano a pagina 110 anche i “magnifici sette” di “Correre Oltre”, che andranno alla maratona di New York alla faccia della sclerosi multipla.