Doping – Caso Rita Jeptoo – Parla il manager, Federico Rosa

Doping – Caso Rita Jeptoo – Parla il manager, Federico Rosa

17 Novembre, 2014

Parla il manager dell’atleta trovata positiva all’eritropoietina: “Non ricordo ci siano mai stati errori nelle procedure antidoping, soprattutto quando si tratta di EPONessuno sapeva di questa sua presunta malaria, perché non si è rivolta al nostro medico di fiducia, un italiano che vive a Nairobi –  Sono molto deluso da Rita, ma sono anche sicuro che riusciremo a provare la nostra estraneità ai fatti – Spero sia l’occasione per affrontare il problema doping in Kenya, cominciato non più di sette anni fa – Occorre istituire un laboratorio antidoping a Eldoret per controlli lontani dalle competizioni – Sto per avviare un protocollo col più importante medico italiano nel campo dei controlli ematici. I valori dei miei atleti saranno sempre tenuti monitorati e i risultati delle analisi resi pubblici

Riportiamo l’intervista rilasciata da Federico Rosa, manager dell’atleta due volte vincitrice delle maratone di Boston e Chigago, Rita Jeptoo, recentemente risultata positiva a un test antidoping. L’intervista è stata pubblicata sul sito www.running.competitor.com.

Risale a venerdì 31 ottobre l’annuncio della positività a un controllo antidoping della maratoneta keniana Rita Jeptoo, vincitrice delle ultime due edizioni della maratona di Boston e di Chicago. Il test era stato effettuato in Kenya a fine settembre, appena due settimane prima della vittoria della Jeptoo nella 42 km della città del vento. La sostanza proibita a cui la Jeptoo è risultata positiva è l’eritropoietina, EPO, la stessa che ha gettato discredito sul mondo del ciclismo nelle ultime stagioni.

La Jeptoo, come molti altri suoi connazionali, è seguita dal gruppo Rosa&Associati, fondato oltre 20 anni fa da Gabriele Rosa, ritenuto uno dei migliori allenatori di maratona al mondo, con all’attivo medaglie olimpiche e mondiali.

Il manager Federico Rosa, figlio di Gabriele, e l’allenatore Claudio Berardelli, hanno immediatamente dichiarato di non avere nulla a che fare con la vicenda e di essere a completa a disposizione dell’agenzia antidoping per fare chiarezza sull’accaduto.

Nonostante la pronta smentita circa il coinvolgimento nella faccenda, alcuni altri episodi di doping avevano minato la reputazione del gruppo negli ultimi anni. Nel 2012 era stato Mathew Kisorio a risultare positivo, in quel caso agli steroidi, ma era stato lo stesso Kisorio a negare il coinvolgimento di Rosa e Berardelli. Sempre nel 2012 anche Jemina Sumgong, attuale compagna di allenamento della Jeptoo e seconda all’ultima maratona di New York, era cascata nella rete dell’antidoping per l’assunzione di prednisolone, un ormone steroideo. La federazione keniana le commutò una squalifica di due anni, che venne in seguito revocata, dal momento che il regolamento antidoping della Iaaf consentiva iniezioni locali per combattere i sintomi di borsite, della quale l’atleta soffriva.

La Jeptoo è stata poi convocata in Federazione, ma non ha voluto rilasciare deposizioni ai giornalisti. Stando a quanto riportato dal quotidiano The Daily Nation, l’atleta sarebbe disponibile a sottoporsi alle controanalisi, nella speranza di vederne ribaltati gli esiti. Le dichiarazioni dell’atleta sembrano però in contrasto con quelle del manager, che nel corso dell’intervista rilasciata al sito www.running.competitor.com (martedì 4 novembre) avrebbe riferito di essere scettico circa la possibilità che si sia verificato un errore nel corso del primo test antidoping effettuato, soprattutto considerato il tipo di sostanza incriminata.

Di seguito l’intervista rilasciata da Federico Rosa dopo il secondo posto della Sumong nella maratona di New York di domenica scorsa.

Da quanto tempo presta assistenza manageriale a Rita Jeptoo?

“Se non vado errato, da circa tre anni. Abbiamo iniziato a collaborare nel 2011, quando stava per compiere trent’anni. Quell’anno gareggiò a Francoforte, dove chiuse la maratona poco sotto le 2:26’. L’anno successivo arrivò seconda a Chicago. In precedenza aveva attraversato anni travagliati, nei quali la sua preparazione era proseguita a singhiozzi, a causa della maternità e di un infortunio.”

Quando ha iniziato a essere allenata da Claudio Berardelli e chi la seguiva in precedenza?

“Claudio la segue da quasi due anni. In precedenza si allenava da sola o la aiutava il marito, Noah Busienei. L’anno scorso, prima di Chicago, si rivolse a noi dicendo che aveva qualche difficoltà e ci chiese di unirsi al nostro progetto, così ultimò la preparazione per quella maratona in Italia, dove è rimasta per quasi un anno.”

Quando avete ricevuto la notizia della sua positività?

“Siamo stati informati dalla federazione keniana martedì scorso.”

Quale è stata la sua prima reazione?

“Mi sono sentito mancare, non ci potevo credere”.

Pensa si sia trattato di un errore?

“Assolutamente no. Sono situazioni molto, molto delicate: non credo che in questi casi si agisca con leggerezza e vengano commessi errori. Nei rari casi in cui capita, il primo campione analizzato è leggermente diverso da quello sottoposto alle controanalisi. Non ricordo ci siano mai stati errori nelle procedure antidoping, soprattutto quando si tratta di EPO.”

Ha avuto occasione di parlare con Rita, dopo che la notizia della sua positività è diventata di dominio pubblico?

Sì, la mattina successiva.

Quale è stata la sua reazione?

Non se lo sa spiegare. Sostiene di aver avuto la malaria e di essersi recata da un medico, che le avrebbe fatto un’iniezione.

E questa visita medica in seguito alla sua presunta malaria quando sarebbe avvenuta, in settembre?

Sì. Rita però ha fatto di testa sua, non si è recata dal medico italiano cui siamo soliti rivolgerci da oltre vent’anni. Risiede a Nairobi e lo contattiamo sempre quando i nostri atleti hanno dei problemi di salute.

Come si chiama questo medico?

Preferirei non rivelarlo.

Quando l’ha avvisata di essersi rivolta a un altro medico per curare la malaria?

Non me lo ha mai riferito, non lo sapevo.

Quindi ignorava i trattamenti medici cui Rita si stesse sottoponendo?

Sì. A dir la verità non ho mai parlato molto con lei, è più Claudio che tiene i rapporti con gli atleti, ma nemmeno lui sapeva nulla di questa presunta malaria.

Quindi, ricapitolando, Rita si sarebbe rivolta autonomamente a un altro medico che voi non conoscete, senza informarvi? Dove pensa sia andata?

Esatto. Suppongo a Eldoret, ma ribadisco che non ho elementi per supportare o confutare questa mia ipotesi. A dir la verità sto ancora aspettando di incontrarla per poter parlare dell’intera vicenda faccia a faccia.

Superato lo shock iniziale dopo aver appreso la notizia, come si sente adesso?

Sono molto deluso. Si tratta di una notizia innegabilmente negativa, ma sono anche sicuro che riusciremo a provare la nostra completa estraneità ai fatti. È un momento difficile, ma spero sia l’occasione per affrontare il problema doping in Kenya. Ultimamente si fa un gran malignare a questo proposito, ma la storia degli atleti keniani non è quella che sembra emergere in queste situazioni.

Da quanto tempo rappresenta gli atleti keniani?

Dal 1996.

E ritiene che attualmente ci sia un problema-doping in Kenya?

Oggigiorno, sì. Non ho alcun dubbio.

Quando pensa sia iniziato?

Cinque, sei, non più di sette anni fa. E ha completamente cambiato la nostra mentalità. Quando ho iniziato a lavorare con gli atleti keniani, a cavallo tra la fine degli anni ’90 e il 2000, pensate che a stento riuscivo a convincerli a prendere una pastiglia contro la febbre, o a portarli in ospedale. Avevano una mentalità diametralmente opposta. Oggi la situazione è completamente ribaltata e la colpa è anche di gare come quelle organizzate in Cina, in cui non c’è nessun tipo di controllo antidoping e in palio ci sono anche 40.000 dollari.

Intende che in Cina non ci sono controlli antidoping?

In alcune gare è così.

A cosa imputa il dilagare del doping in Kenya negli ultimi anni?

Principalmente perché è diventato più facile reperire informazioni, sia online, sia parlando con atleti che l’hanno fatta franca e si sono arricchiti. Il fenomeno è in espansione.

E chi ne trae beneficio, a parte gli atleti che stanno correndo tempi sempre più veloci?

I manager, sicuramente. Gli allenatori, probabilmente. Non ne ho idea, non so se esistano anche accordi fatti direttamente coi medici, per poi spartirsi gli introiti.

Pensa che gli atleti, a prescindere dal fatto che vengano scoperti o meno, siano consapevoli di quello che fanno, o che siano in qualche modo tratti in inganno da manager e allenatori, senza sapere quello che viene loro somministrato?

È una domanda difficile. Nemmeno nel caso di Rita so se si sia trattato una sua decisione consapevole, o se abbia semplicemente preso quello che qualcuno le ha detto le avrebbe fatto bene. Credo che la maggior parte degli atleti sappia quello che fa. Non so come parta il tutto, ma di sicuro c’è qualcuno che promette loro benefici.

Quali misure dovrebbero essere adottate, secondo lei?

Le dico quello che farò io, per mantenere pulita la nostra reputazione. Tutti i nostri atleti ci sono vicini e sono veramente turbati dall’accaduto. Mi attiverò per far sì che i nostri atleti vengano sottoposti all’analisi del sangue con cadenza mensile, pubblicando poi i risultati in modo che tutti possano vederli. Ciò che veramente farà da deterrente sarà istituire a Eldoret un laboratorio in cui eseguire controlli antidoping lontani dalle competizioni.

Pensa che finora gli atleti keniani dopati se la siano cavata proprio per la difficoltà di essere raggiunti?

Credo che il problema sia analizzare il sangue. Ogni tanto vengono controllate le urine, ma non in maniera sistematica. Si fanno meno controlli di quanti sarebbe necessario.

Pensa che la federazione keniana sia consapevole della gravità della situazione, o crede che preferiscano continuare a ignorare il problema?

Sembra che finalmente stiano iniziando ad ammetterlo e che i controlli siano aumentati.

Un’altra delle vostre atlete, Jemima Sumgong, è arrivata seconda di poco all’ultima maratona di New York. Pensa che le notizie su Rita emerse nelle ultime settimane l’abbiano in qualche modo distratta dall’obiettivo?

Non saprei, è possibile. Di sicuro a destabilizzarla è stata la vicenda del 2012, quando venne ingiustamente accusata di essersi dopata, squalificata per due anni e poi assolta. Quello è stato un duro colpo. Giro con la documentazione relativa a quell’episodio, l’avevo portata anche alla conferenza stampa ed ero pronto a offrire spiegazioni a chiunque avesse messo in dubbio la buona fede di Jemima. Ho comunque fiducia nel fatto che le cose si sistemino e che in futuro dovremo parlare meno del problema doping.

Com’è il suo rapporto con Berardelli, l’allenatore di Rita Jeptoo? Da quanto tempo vi conoscete?

Claudio ha cominciato a collaborare con Rosa&Associati più di dieci anni fa. È un gran lavoratore, ci mette davvero tanta passione e per farlo al meglio vive in Kenya la maggior parte dell’anno. 

Quanti atleti fanno parte del gruppo di Berardelli? Sono tutti sotto contratto con lei?

Sì, Claudio lavora solo con noi, è un nostro dipendente. Segue quasi 70 atleti, dislocati su diversi training camp. Il più grande è quello di Kaptagat, dove si allenano fino a 35 atleti.

Come si è comportato con Mathew Kisorio, risultato positivo a un controllo antidoping nel 2012?

L’ho licenziato e gli ho fatto causa. Fortunatamente fu lui stesso a rilasciare dichiarazioni sulla nostra estraneità ai fatti. Disse di essersi recato da un medico che qualcuno gli aveva raccomandato, che gli erano state fatte iniezioni e che sapeva che il tutto fosse illegale. All’inizio aveva provato anche lui con la solita solfa della malaria, ma sono stato categorico nel dirgli che gli conveniva collaborare e dire la verità. Oggi non ho più nessun tipo di rapporti con lui. In passato aveva provato a ricontattarmi chiedendomi di essere riammesso al camp, ma io non voglio avere nulla a che fare con gli atleti che imbrogliano.

Ci sono stati altri casi di suoi atleti risultati positivi?

La velocista del Botswana, Amantle Montsho. Nel suo caso si trattò di stimolanti. Non sono ancora giunti a una decisione a riguardo.

Come si comporterà d’ora in avanti per assicurarsi che i suoi atleti rimangano fuori dai guai?

Sto per avviare un protocollo col più importante medico italiano nel campo dei controlli ematici. I valori dei miei atleti saranno sempre tenuti monitorati e i risultati delle analisi resi pubblici.

Da uomo di sport da oltre vent’anni, crede che gli ultimi record del mondo di maratona siano puliti?

Cosa posso dire? Spero di sì. Lo spero con tutto il cuore.

Rappresenta solo atleti keniani?

No, anche etiopi, italiani, spagnoli, brasiliani: operiamo in tutto il mondo.

Pensa che anche in Etiopia ci siano le stesse problematiche legate al doping?

Non saprei, in molti affermano che là la situazione sia diversa. Non mi esprimo a riguardo perché non ho elementi sufficienti.

Tornando al caso di Rita Jeptoo, sa quando verranno eseguite le controanalisi?

Credo martedì prossimo, poi ci vorrà un po’ di tempo per i risultati. Per quel che mi riguarda, potrebbero anche evitare di controllare un secondo campione di sangue, a me non serve.

A questo punto pare inevitabile un periodo di squalifica. Come evolveranno i rapporti tra voi?

In questo momento vorrei non dovere avere più nulla a che fare con lei. 25 anni della mia vita e 40 di quella di mio padre rischiano di essere messi in discussione agli occhi del mondo. A parte la delusione, la voglio incontrare, parlarle e convincerla a dire la verità, anche perché quello che dovrà affrontare varierà sensibilmente a seconda che collabori o meno. Se deciderà di collaborare con la giustizia, farò di tutto per aiutarla. In caso contrario, non voglio più avere nulla a che fare con lei.

Pensa che le sue deposizioni potranno essere utili per affrontare il problema doping che sta investendo il Kenya?

Assolutamente sì. Gli atleti pentiti sono la chiave della soluzione.

Ha altro da aggiungere?

Direi di no. Ribadisco la mia disponibilità a collaborare col dipartimento antidoping della Iaaf, attività avviata già qualche anno fa. Condividiamo molte informazioni e lavoriamo insieme, anche se non finora non era di dominio pubblico. Sono stati loro a incoraggiarmi a rendere pubblica la nostra collaborazione, deve essere chiaro a tutti che non c’entriamo nulla con la vicenda.