L’ex ottocentista Donato Sabia, due volta finalista alle Olimpiadi, aveva 56 anni e pochi giorni fa aveva perso il padre, sempre per Coronavirus.
È stato uno dei più grandi interpreti degli 800 m, Donato Sabia, non solo a livello italiano. Il suo primato di 1’43”88 lo colloca ancora a pochi centesimi dal record nazionale di Marcello Fiasconaro.
Classe 1963, Donato Sabia fu volte finalista olimpico: quinto nel 1984 a Los Angeles e settimo nel 1988 a Seoul, oltre che oro agli Europei indoor di Goteborg del 1984.
Un mondo, quello dello sport, a cui Donato Sabia rimase sempre legato, lavorando come allenatore del team olimpico maltese, poi come responsabile dell’Ufficio Sport del Comune di Potenza nonché, fino al 2019, come presidente del comitato regionale Fidal Basilicata.
Donato Sabia, potentino e padre di due figlie, se ne è andato martedì 7 aprile al San Carlo di Potenza, dove era stato ricoverato una decina di giorni prima, nella stessa struttura in era spirato anche il padre, sempre per complicazioni legate al Coronavirus, lo scorso 31 marzo.
Prima di passare sotto la guida tecnica di Sandro Donati, Sabia fu uno dei pochi mezzofondisti a essere allenato da Carlo Vittori, tecnico specialista del settore velocità, diventando amico e compagno di allenamenti di Pietro Mennea, con cui gareggiò in alcune staffette 4×400.
Donato Sabia si contraddistinse anche per la sua fermezza nell’opporsi a “sussudi all’allenamento”all’epoca piuttosto diffusi anche in Italia.
«Nel 1987 ero in ripresa e arrivai secondo alla Coppa Europa di Praga sotto la guida di Sandro Donati. Poi l’ennesimo infortunio. Mi proposero di ricorrere al doping per continuare la carriera. Dissi “no” e denunciai il fatto dopo la conferenza stampa di presentazione della squadra per i mondiali di Roma quando un giornalista chiese al CT della nazionale che fine avesse fatto Sabia:
”Si è infortunato, gli abbiamo proposto di aiutarlo, ma non si è fatto aiutare. Ha paura del confronto con il pubblico italiano”. Non finì lì. L’Espresso raccolse la mia denuncia. In realtà avevo detto “no” al doping, un “aiuto” a quei tempi quasi “istituzionalizzato”. E da allora mi chiusero tutte le porte» aveva recentemente dichiarato in intervista pubblicata sulla Gazzetta del Mezzogiorno.