La fuga dei cervelli è argomento di attualità. Più di due anni fa (Correre marzo 2015), descrivemmo per la prima volta la parallela realtà dei giovani talenti del mezzofondo, e più in generale dell’atletica, cui le università USA propongono borse di studio per allenarsi, gareggiare e studiare.
Due anni dopo
Come sono finite le avventure di quei 13 ragazzi? A distanza di poco più di due anni, Francesca Grana ha aggiornato quel suo dossier. Su Correre di maggio 2017 (ora in edicola), l’autrice fa il punto della situazione: i giovani che stanno provando questa esperienza sono diventati 38. Nelle dieci pagine del servizio emerge un quadro articolato, fatto di luci, ma anche di ombre.
Meglio dei militari
Gli atenei americani sono un’alternativa ai gruppi sportivi militari, dalle selezioni ristrette. Spesso basta un infortunio per essere dimenticati. Spesso, una volta arruolati, subentra un senso di appagamento che inibisce la crescita dell’atleta. I college offrono una laurea che sa già di futuro meno incerto e forniscono preparazione e mentalità giusta per diventare un vero professionista: allenarsi come professionisti, in strutture all’avanguardia e con allenatori quotati.
Controindicazioni
Tra le “scarpette in fuga” intervistate, c’è però anche chi mette in evidenza limiti ed eccessi di quell’organizzazione: distanze di gara imposte per coprire necessità di squadra, ossessione per gli allenamenti di qualità a discapito del recupero, stagione agonistica lunghissima, difficoltà di ambientamento (in alcuni casi si dorme con non-atleti, che hanno ritmi di vita più… gaudenti!), carenza di compagni di allenamento.
Il nostro servizio su Correre di maggio è completato dalla descrizione di come è organizzato lo sport universitario statunitense e dalle istruzioni per l’uso su come candidarsi. Spazio è dedicato anche alle statistiche sugli stranieri immatricolati nei college e nelle università USA (1.043.839 nell’anno accademico 2015/2016) e all’impatto positivo sull’economia a stelle e strisce.