Non ha visto le Olimpiadi di Rio del 2016. Si è spento all’età di 96 anni il 7 aprile di quell’anno, bisesto, come questo. Carlo Monti, oggi 24 marzo avrebbe compiuto 100 anni. Di Olimpiadi ne aveva perse altre due, dove da buon velocista avrebbe potuto dire veramente la sua. A 20 anni poteva correre in pista a Tokyo 1940, ma la guerra sino/giapponese costrinse il Comitato organizzatore ad alzare bandiera bianca, non ha preso parte a quelle successive, a 28 anni si dovette accontentare dei Giochi di Londra del 1948 dove partecipò alla 4×100. Filmati in bianco e nero mostrano il Carletto, o meglio il Carlino – come era spesso chiamato in Lombardia – impegnato in terza frazione, era un buon curvista, nonostante si esprimesse meglio nei 100. Prima di Londra un suo ricordo era riservato ai Campionati Europei del 1946 che si svolsero a Oslo. Su un vecchio aereo Dakota messo a disposizione dagli Alleati, dopo oltre due giorni di viaggio, giunse nella capitale norvegese che ancora si stava leccando le ferite del secondo conflitto mondiale. Arrivarono giusto in tempo per disputare batterie, semifinali e finali. Tutte in un giorno, come si usava allora. Carlo conquistò un bellissimo terzo posto nei 100, chiusi in 10”8, nonostante il viaggio massacrante.
E’ stato campione italiano nei 100 (‘40/’41/’46 e ‘47) e dei 200 (‘41/’42/’46/’49). Persona capace di riannodare i ricordi, amava spesso rammentare che il quartetto delle meraviglie d’allora composto oltre che dallo stesso Monti, da Perrucconi, Siddi e Tito ai quali disse prima di prendere il via nella finale: “Mi raccomando facciamo attenzione ai cambi, se sbagliamo, v’inseguo sino a Milano”. Andò bene. Monti faceva parte di quell’atletica elegante e gentile, quella che usciva dalle Università, era laureato in chimica, tutti lo ricordano come giornalista, ha scritto principalmente di atletica, ma anche di altri sport sia su “Il Corriere dello Sport” che sulle pagine de “La Notte”.
Frugando nei meandri della mia memoria, ricordo Carlo Monti col cappotto color cammello e collo di pelo sulla linea d’arrivo della Maratona di Monza, che si disputava d’inverno all’interno del Parco (metà anni Settanta), armato di penna e taccuino. Indimenticabili le trasferte con la Snia con l’accoppiata Franco Sar /Carlo Monti. Ne cito solo due che ricordo particolarmente: Parigi (Coppa Campioni in pista) e Albufeira in Portogallo (coppa campioni di cross). Fu tra i primi, se non addirittura l’unico, ad accorgersi per primo che il salto in lungo dei Mondiali di Roma era stato colpevolmente allungato. Fu quasi deriso dai colleghi. Scherzando amava dire: l’atletica inizia con i 100 metri e finisce con i 200. Poi scrisse un libro sulla cento chilometri di marcia!
Era sempre allegro, spiritoso, dissacrante, con gli amici si esprimeva in dialetto meneghino. Compagno di trasferte, l’ultima se non vado errato, agli Europei di Goteborg nel 2006, usava il computer e saliva le scale che portavano in tribuna senza particolare affanno, armato di borsa e arnesi del mestiere, in compagnia del figlio Fabio che allora si batteva sulle barricate de Il Corriere della Sera.