Proprio così. Quella maledetta “soglia anaerobica” è il nostro limite di velocità, oltre il quale, nei nostri muscoli, aumenta la produzione di quell’altrettanto maledetto composto tossico chiamato “acido lattico”. Limite che però, lavorando con pazienza e metodo, può essere migliorato.
Come in un’azzeccata similitudine di Orlando Pizzolato, la soglia anaerobica può essere paragonata ad una sorta di autovelox fisiologico. Ogni podista è esposto a un certo di “limite di velocità”, oltre il quale l’efficienza fisica inizia a deteriorarsi perché l’acido lattico può essere tollerato per poco tempo.
Ogni corridore, quindi, per regolarsi bene sia in gara sia negli allenamenti, dovrebbe conoscere quando si attiva il proprio “autovelox”, in modo da non incorrere nel processo di “intossicazione” del sangue ed essere costretto, qualche minuto dopo, a rallentare il ritmo di corsa, anche in maniera rilevante.
A differenza dell’autovelox questa sorta di “limite fisiologico di velocità” (soglia anaerobica) può essere modificato e innalzato.
I tempi di reazione agli stimoli allenanti sono piuttosto veloci per i podisti meno allenati, rispetto a quelli che sono necessari ai runner di maggior livello di allenamento.
Per i primi bastano anche un paio di settimane; per i secondi, invece, serve circa un mese. Impariamo quali sono i lavori che servono davvero con le tabelle specifiche di allenamento suddivise in tre fasce di livello.
Nota: Questo testo rappresenta una sintesi del servizio “Vade retro acido lattico”, a cura della redazione, pubblicato su Correre n. 390, aprile 2017, alle pagine 42-44.