Il costo energetico dell’attività fisica è un parametro importante, con forti connotazioni biomeccaniche legate sia al gesto atletico sia alla struttura corporea del singolo runner. Vediamo in che modo è possibile agire su di esso per migliorare la propria efficienza in ottica prestativa
Quando corriamo, consumiamo energia. Negli sport di endurance, come la corsa, la prestazione, a qualsiasi livello, è legata principalmente a tre fattori: massimo consumo di ossigeno (V’O2max), frazione di utilizzo del V’O2max (parametro che può essere associato alla soglia anaerobica) ed economia di corsa. Mentre i primi due agiscono soprattutto a livello metabolico (numero e densità dei mitocondri, vascolarizzazione, funzionalità enzimatica specifica, dimensioni e funzionalità cardiache, tipologia di fibre muscolari, etc) il terzo, invece, cioè l’economia di corsa, lo si spiega e lo si comprende osservando la cosiddetta “biomeccanica”, che ragiona dei collegamenti tra il gesto atletico e la struttura corporea.
Alcuni aspetti tecnici-cinematici
Ognuno di noi ha un proprio stile di corsa legato alla struttura dei muscoli e delle articolazioni, alla lunghezza delle leve, allo storico sportivo e a eventuali infortuni in cui si è incappati nel tempo o a vizi di atteggiamento acquisiti negli anni. Questo non vuol dire che non si debba ricercare un miglioramento della tecnica, significa semplicemente che non tutti i runner rispondono allo stesso modo a certe sedute specifiche; in alcuni casi accorgimenti corretti possono comunque portare a problematiche in corridori che hanno trovato, negli anni, un proprio equilibrio posturale efficace.
Ci sono comunque delle indicazioni generali che possono essere utili a tanti podisti. Per poter spendere meno energia durante la corsa le due azioni più importanti sono la riduzione dell’oscillazione verticale e del tempo di contatto del piede a terra. Chi corre avendo uno spostamento del centro di gravità elevato verso l’alto spreca molta energia sia nella prima fase di appoggio del piede al suolo (early stance phase) per attutire il peso corporeo, sia nella fase di spinta (late stance phase, toe-off), che porta il piede a staccarsi da terra e il corpo a procedere avanti. Anche i tempi di contatto del piede sul terreno sono importanti: più si rimane in appoggio, maggiori sono le forze frenanti che agiscono tra piede e superficie.
Alcuni accorgimenti
Un’azione utile a ridurre l’oscillazione verticale e i tempi di contatto del piede a terra è l’aumento della cadenza (numero degli appoggi che compiono entrambi i piedi in 1’). In genere il range di normalità è tra 160 e 200 appoggi al minuto e dipende soprattutto dalla lunghezza delle gambe e dalla velocità. Chi spreca molta energia verso l’alto con elevate oscillazioni verticali può avere beneficio nell’aumentare la cadenza di 5-7 appoggi al minuto. Bisogna però valutare individualmente questi cambiamenti: ogni variazione della meccanica di corsa va fatta solo per ottenere un miglioramento della performance o una riduzione degli infortuni. Se questo cambiamento ha effetti negativi a livello di sovraccarichi muscolo-tendinei va subito eliminato o ridotto nell’entità.
Un altro accorgimento molto importante per tutti per ridurre la spesa energetica e la probabilità di incorrere in infortuni è creare un equilibrio muscolare ben bilanciato.
Nota: Questo testo rappresenta una sintesi del servizio “Performance ed economia di corsa”, di Huber Rossi, pubblicato su Correre n. 413, marzo 2019 (in edicola a inizio mese), alle pagine 44-50.