Plantari sotto accusa: il “caso Ceccarelli”

Plantari sotto accusa: il “caso Ceccarelli”

Francesca Grana

L’allenatore del campione europeo indoor dei 60 m piani ha indicato nei plantari la causa dei frequenti infortuni di cui in precedenza era rimasto vittima il velocista. Su Correre di aprile il nostro esperto di plantari e chirurgia ortopedica analizza la situazione spiegando in cinque punti perché non sia il caso di generalizzare.

Dopo la vittoria di Samuele Ceccarelli nella gara dei 60 m ai Campionati europei indoor, il suo allenatore, Marco Del Medico, ha dichiarato al giornalista del Corriere della Sera Marco Bonarrigo: “Samuele era un pronatore, ovvero appoggiava il piede verso l’interno. Per correggere il difetto utilizzava plantari che continuavano a provocargli infortuni. Abbiamo risolto buttandoli nella spazzatura e potenziando la muscolatura dei polpacci: il piede ha smesso di ruotare”.

È meglio precisare

Questa frase del coach fa da spunto per l’intervento di Luca De Ponti su Correre di aprile: “È opportuno fare alcune osservazioni di carattere medico-biomeccanico per comprendere al meglio situazioni di questo tipo, peraltro molto frequenti”. Sono cinque le osservazioni sviluppate da De Ponti sulla nostra rivista partendo da queste considerazioni:

1. Il piede che prona in eccesso ha tempi di appoggio tendenzialmente più rapidi di uno normale… Questo particolare è un fattore favorevole per un velocista con alcuni limiti non trascurabili.

2. I limiti sono dati dai meccanismi di trasmissione: tendini e fascia plantare… il meccanismo di iper-pronazione costringe le fibre di collagene dei tendini a lavorare male e ad allungarsi maggiormente in una parte della sezione rispetto alle altre. Alla lunga si paga un prezzo salato con una usura precoce di tali strutture (tendiniti, tendinosi, fasciti plantari).

3. Da un punto di vista morfo-strutturale, in un atleta senza deficit muscolari l’eccesso del movimento di pronazione è dato da un avampiede varo… che impone un compenso funzionale che equivale al cosiddetto eccesso del movimento di pronazione.

4. Il lavoro di potenziamento muscolare, in riferimento a situazioni del genere, riguarda, di routine, la muscolatura estrinseca del piede e in particolare il tibiale posteriore, il “freno a disco” del movimento di pronazione, che, in base alla sua efficienza, modula la frenata del piede verso l’interno. Il tibiale posteriore ha la sua inserzione prossimale sulla tibia e quella distale sullo scafoide, a livello del mesopiede. Siccome sui muscoli si può lavorare e l’efficienza di tale muscolo in un velocista è determinante, è verosimile che nel caso di Ceccarelli questo lavoro sia stato fatto molto bene con risultati probabilmente anche al di là delle aspettative, nel senso che è stata migliorata anche la cilindrata della muscolatura del piede, fattore determinante ai fini della velocità.

5. In un caso del genere il plantare può avere solo una funzione: compensare il varismo dell’avampiede allo scopo di far lavorare le strutture tendinee secondo assi corretti. È verosimile che, nel caso di Ceccarelli, tale obiettivo non fosse stato centrato per scarsa perizia progettuale…

La soluzione dell’enigma

Luca De Ponti passa quindi a suggerire al campione europeo di non considerare il suo psuedo-plantare come l’imputato reo-confesso di tutti i mali patiti e definisce quali caratteristiche debba avere un plantare per contribuire a preservare dagli infortuni lo sprinter: un plantare con un semplice compenso del varismo dell’avampiede, da ottenere con un piano inclinato corrispondente a un quinto del varismo del piede stesso.  “Altrimenti – conclude De Ponti – sarebbe come avere una macchina di Formula uno con un motore potentissimo, ma con gomme suscettibili di usura precoce.”

Nota: Questo testo rappresenta una sintesi del servizio “I plantari nel cestino”, di Luca De Ponti, pubblicato su Correre n. 462, aprile 2023 (in edicola da inizio mese), alle pagine 82-83.

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