Oregon Project: il J’accuse di Mary Cain

Oregon Project: il J’accuse di Mary Cain

27 Novembre, 2019
Foto: Francesca Grana
A qualche settimana dalla squalifica di 4 anni inflitta all’allenatore Alberto Salazar, l’enfant prodige del mezzofondo statunitense confessa i retroscena della sua esperienza col famoso coach, sulle pagine del New York Times. A sviluppo della traduzione subito pubblicata dalla nostra giornalista Francesca Grana su Correre.it, affrontiamo alcune delle tematiche sollevate dall’inquietante caso, con i contributi dei nostri esperti Giorgio Rondelli (allenamento top runner) e Luca Speciani (alimentazione).

“Chi si ricorda di Mary Cain? È stata la mezzofondista americana più veloce di tutti i tempi nella sua fascia d’età, con 2 record del mondo U18 e U20 indoor. Nel 2014 vinse i 3.000 m ai Mondiali Juniores di Eugene e nel 2013, a 17 anni, conquistò la finale dei 1.5000 m ai Mondiali Assoluti di Mosca”. Il nostro dossier sullo scandalo dell’Oregon Project si apre con una panoramica (a cura di Francesca Grana) sui portentosi risultati giovanili di Mary Cain, intervallata dalla traduzione dell’articolo pubblicato giovedì 7 novembre sul New York Times a firma di Lindsay Crouse.

La confessione

«Ero la ragazza più veloce d’America, finché non sono entrata nel Nike Oregon Project. Volevo diventare la più forte al mondo. Invece, mi sono sentita maltrattata da un punto di vista emotivo e fisico. Tutto lo staff, interamente maschile, sembrava convinto del fatto che per migliorare dovessi diventare più magra. E più magra. E poi ancora più magra. Arrivai al punto che le gare le avevo già perse sulla linea di partenza. Avevo smesso di sognare le Olimpiadi, cercavo solo di sopravvivere» ha dichiarato la Cain.

Salazar: successi e sospetti

Nel secondo passaggio del nostro dossier, Giorgio Rondelli inquadra la figura del tanto discusso allenatore.

“Ex maratoneta con tre successi a New York, Alberto Salazar è stato l’head coach del Nike Oregon Project: un progetto con base a Beaverton (Oregon), presso il centro direzionale della stessa Nike, dotato di quanto di più tecnologico gli atleti potessero desiderare: crioterapia, tapis roulant subacqueo, Alter G (una stanza dove allenarsi in assenza di gravità), ma anche camera iperbarica, vietata in alcuni paesi, Italia compresa. Un investimento da 460 milioni di dollari nell’arco di 26 anni.”

“Il Nike Oregon Project esplode con l’arrivo del britannico Mo Farah, che nel giro di pochi anni diventa il numero uno del mezzofondo prolungato con vittorie a Mondiali e Olimpiadi sui 5.000 e 10.000 m, oltre al primato europeo dei 1.500 m (3’28”81). Ai Giochi di Londra 2012, nei 10.000 m, alle sue spalle arriva l’americano Galen Rupp, suo abituale compagno di allenamenti.”

Rondelli passa poi a riepilogare i sospetti legati all’utilizzo di pratiche doping da parte di Salazar, l’abbandono del progetto da parte di Mo Farah (2017) e gli straordinari progressi di Sifan Hassan, Donovan Brazier e Kostanze Klosterhalfen, tutti a podio ai Mondiali di Doha.

Proprio in quei giorni arriva però la squalifica per 4 anni per Alberto Salazar e il medico Jeffrey Brown, seguita dalla chiusura del Nike Oregon Project, disposta dalla stessa Nike, che ha poi chiesto le dimissioni di Mark Parker, CEO dell’azienda. 

La psicosi della magrezza

L’ultimo intervento, infine, è del medico Luca Speciani, a proposito della psicosi della magrezza.

“Il problema è semplice: ci si convince che per essere forti si debba essere magri, quando le nostre conoscenze scientifiche ci dicono invece con estrema chiarezza che la prestazione massimale si ha quando si è nello stesso tempo magri e muscolosi. La magrezza senza muscolo, quella dell’anoressica per capirci, non ha mai portato da nessuna parte, se non a fine carriera anticipati dopo sequele di fallimenti e infortuni.”

“Una restrizione calorica può senza dubbio generare un calo di grasso corporeo, ma contestualmente genera riduzione della massa muscolare e della densità ed efficienza ossea e articolare, che significa calo complessivo delle prestazioni e aumentato rischio di infortuni.”

Nota: Questo testo rappresenta una sintesi del servizio “Oregon Project: il J’accuse di Mary Cain”, di Francesca Grana, Giorgio Rondelli e Luca Speciani, pubblicato su Correre n. 422, dicembre 2019 (in edicola a inizio mese), alle pagine 78-83.

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