“Usare il cervello” o “agire d’istinto”?
È convinzione diffusa che la scelta tra una o l’altra modalità dipenda dal carattere della persona: ci sono gli istintivi e i razionali.
In realtà ognuno di noi dispone di due cervelli, anche se non sempre ben collegati. Il destro è quello più istintivo, mentre il sinistro è il più razionale, matematico, logico. Benché quest’ultimo sia quello più utile dal punto di vista lavorativo e funzionale, il destro è il solo che permette di cogliere il senso delle cose nel loro insieme e di trovare dunque stimolo e motivazione al cambiamento.
Tre testi illuminanti
Questo è, in sostanza, il tema affrontato da Luca Speciani su Correre di febbraio, dove condivide con il lettore le proprie riflessioni generate dalle recenti letture di tre testi: Il linguaggio del cambiamento di Paul Watzlawick (“uno dei creatori della psicoterapia strategica”, sottolinea Speciani), Percezioni del neurologo inglese Beau Lotto e Opus dello psicologo dello sport Pietro Trabucchi, che è anche collaboratore di Correre.
Tutto è soggettivo
“Il punto sollevato da Lotto e da Watzlawick – spiega Speciani – è che la visione del mondo non può mai essere oggettiva, ma sempre solo soggettiva. Il colore rosso che vediamo noi non è lo stesso che vede un’altra persona, ma soprattutto non corrisponde a una realtà oggettiva (il rosso, come ogni altro colore, non è altro che una gamma di frequenze della luce: siamo noi, con il nostro cervello, a trasformarla in una percezione di colore). E se quella tonalità è solo dentro di noi, sarà dentro di noi anche quella pista di atletica o quel dolore ai quadricipiti derivante dall’accumulo di acido lattico dopo la gara. Capire che ciò che crediamo oggettivo esiste solo nella nostra testa può essere un pensiero in parte destabilizzante, ma che ci consente, mutando il punto di vista, di modificare alcune convinzioni che hanno magari bloccato la nostra crescita interiore o i nostri progressi sportivi fino a oggi.”
Cervello rettile e corteccia
“Per superare queste resistenze – prosegue Speciani -, ci viene in aiuto Opus, nel quale Pietro Trabucchi ci ricorda come il nostro cervello rettile (la componente ancestrale del cervello, che abbiamo appunto in comune con i rettili) segua istruzioni di sopravvivenza elementare, opposto alla corteccia più recente (in particolare i lobi prefrontali), la componente cerebrale che ci permette scelte più elaborate.
Questa possibilità di scelta razionale (come ad esempio il dilazionare una soddisfazione in cambio di un vantaggio maggiore) è quella che ci differenzia da ogni altro animale. Se mostro del cibo a un cane o a un gatto affamati, quelli lo mangeranno senza porsi dubbi, perché il loro cervello rettile così ha comandato con soddisfazione per milioni di anni. Un uomo invece può decidere di non mangiarlo per non ingrassare, perché non è sicuro della sua salubrità, perché vuole dividerlo con altre persone, perché sta per partire per una gara, perché sa di essere intollerante a quell’alimento. E così facendo va in conflitto con il proprio cervello rettile, istintivo, traendone tuttavia un vantaggio maggiore, nel tempo, rispetto alla soddisfazione immediata. Ma è sempre così facile superare questo conflitto, far lavorare i due cervelli come amici e non come nemici?
Obiettivi sfidanti, ma al tempo stesso possibili
“La corteccia prefrontale agisce per obiettivi e ricompense. Gli obiettivi però devono essere, secondo Trabucchi, sfidanti e nello stesso tempo possibili. Se riesco, con una pianificazione graduale e intelligente, a rendere sfidanti ma raggiungibili i primi passi di un piano di allenamento complesso, l’atleta che li conquisterà produrrà dopamina a sufficienza per far sì che il suo cervello rettile non si opponga a nuovi impegni ma anzi, in un certo senso, ne sia gratificato”.
Nota: Questo testo rappresenta una sintesi del servizio “Tra istinto e razionalità”, di Luca Speciani, pubblicato su Correre n. 412, febbraio 2019 (in edicola a inizio mese), alle pagine 60-62.