A volte si preferirebbe non essere sulla notizia: ci sarebbe piaciuto non dover mai parlare su Correre del suicidio di Maura Viceconte, una delle più forti mezzofondiste prolungate e maratonete della storia della corsa italiana. Avremmo preferito aver già chiuso il numero di Correre di marzo, in quel tardo pomeriggio di domenica 10 febbraio. Un mese in più ci avrebbe permesso di ragionare o anche solo lasciar correre i pensieri, lasciare che come in ogni corsa, anche i pensieri alla fine si potessero stancare, fermarsi, arrendersi. Il ricordo di Maura, oggi, non è condiviso solo da chi vive e ha vissuto la corsa al suo massimo livello agonistico, ma anche da tutte le persone che convivono con malattie importanti e che, notiamo da qui, da un po’ di tempo hanno imparato a non nascondere più la propria condizione: ne parlano e ci offrono la loro voglia di raccontarsi. Maura fu proprio una delle prime a scegliere questa tattica di lotta: l’avevo incontrata nel 2011 a un convegno su “Tumore e sport” ed ero rimasto colpito dalla sua determinazione nell’affrontare il carcinoma al seno anche in pubblico. Spiegò che così facendo ci si accetta e ci si fa accettare, perché il rifiuto di sé stessi è il primo vantaggio da non dare alla malattia. E se nessuno ancora è riuscito a dimostrare il possibile valore terapeutico della corsa, resta l’importanza di conservare normalità anche attraverso la corsa, che della normalità ormai fa parte. È nostra cura far sì che questa normalità sia soprattutto consapevole, fatta cioè di conoscenza di quello che vuol dire correre, in termini di rischi, di futuri infortuni innescati involontariamente ad ogni appoggio del piede, ad esempio. Non abbiamo mai parlato di “mission”, non è nel nostro stile, ma la vostra salute resta un nostro obiettivo.