Una più accurata definizione della nostra identità è ciò che ci offre la corsa. Quante occasioni per conoscerci meglio perdiamo nella fretta di far parte di un evento? Succede ogni volta che sottovalutiamo la nostra unicità nella fase in cui si comincia o si ricomincia a correre o comunque si affronta una dimensione di gara rispetto alla quale la nostra esperienza di corridori non copre la totalità delle situazioni che stiamo per vivere.
Ognuno di noi è diverso dagli altri sotto molti punti di vista. Questo si riflette anche sui risultati e soprattutto sulle conseguenze fisiche e mentali del nostro correre, specie nella fase in cui si comincia o si ricomincia o comunque si affronta una dimensione della corsa rispetto alla quale la nostra esperienza di corridori non copre la totalità delle situazioni che stiamo per vivere. Il più classico degli esempi in proposito compare su Correre di gennaio, sottoforma di contributo di Huber Rossi: il maratoneta esperto che decide di misurarsi in un’ultra-maratona. “Ma misi me per l’alto mare aperto” fa dire Dante a Ulisse.
E visto che ho violato una pagina della “Commedia”, proseguo nel saccheggio: “Guarda la mia virtù s’ell’è possente, / prima ch’a l’alto passo tu mi fidi” chiede Dante a Virgilio quando tutto sta per cominciare.
È quello che suggeriscono Orlando Pizzolato e Daniele Vecchioni nei rispettivi contributi, a loro modo paralleli, rivolti rispettivamente a chi intende preparare una maratona e a chi, più in generale, si dedica alla corsa per raggiungere un obiettivo. “Si minimizza l’importanza della resistenza di base o si sopravvaluta la nostra capacità di adattamento”, scrive in sostanza Pizzolato. “Se decidiamo di imparare a sciare, l’istruttore ci chiederà prima che cosa sappiamo già fare. Nella corsa ci si fionda a volte giù per una pista nera senza chiedersi se sappiamo usare i bastoncini” è il paragone efficace proposto da Vecchioni.
Da entrambi i testi traspare l’allarme per una patologia diffusa e crescente nel mondo della corsa: la fretta di fare. Immagino la reazione infastidita di chi già trova eccessivi quei nostri programmi di 16-18 settimane per preparare una maratona. Come proporre loro altre otto, preliminari settimane per “allenarsi all’allenamento?”
A questo, però, ci spinge il nostro obiettivo di condurre il lettore verso una passione consapevole.
Una più accurata definizione della nostra identità è ciò che ci offre la corsa. Quante occasioni per conoscerci meglio perdiamo nella fretta di far parte di un evento?
Buona lettura.