Alcune discipline sportive di endurance, come il ciclismo e il triathlon, in inverno sospendono l’attività, mentre podisti si allenano 365 giorni all’anno, incuranti del freddo e del gelo. Anzi, a livello climatico è più facile che soffrano il caldo estivo.
Il nostro organismo riesce a esprimere una performance fisica massimale quando la temperatura interna si aggira intorno ai 37°. Qualunque variazione in alto o in basso di quel valore può accelerare o rallentare alcune reazioni biochimiche, squilibrando anche pesantemente il sistema.
Qualche attenzione, però, va naturalmente mantenuta. In primis contro l’effetto del vento freddo, che può ridurre la temperatura percepita di molti gradi. C’è poi il fattore dell’attesa prevista prima del via. Meglio stare coperti, se si può, fino a quando si incomincia a correre. Ci sono inoltre parti del corpo più a rischio, come le dita delle mani e dei piedi o la nuca. Un freddo eccessivo potrebbe, prima o dopo la gara, portare il corpo a concentrarsi sulle parti vitali, togliendo sangue a quelle zone, generando crampi e anche geloni.
Un altro problema riguarda l’intestino: se già in condizioni normali non bisogna mai trovarsi lo stomaco ingombro di cibi solidi, con il freddo questo tipo di attenzione deve essere categorico. Dunque, niente cibi in gara e colazioni molto lontane dall’orario di partenza. Se ci fermiamo al ristoro e assumiamo acqua o sali, ricordiamoci che potrebbero essere a temperatura ambiente e quindi quasi ghiacciati. È buona regola bere a piccoli sorsi e tenere l’acqua in bocca per qualche secondo prima di deglutire. Ricordiamoci infine che le coane nasali sono fatte apposta per riscaldare l’aria in ingresso. Se il ritmo lento lo consente, respirare col naso potrà risparmiare ai polmoni un’esperienza irritante.
Nota: Questo testo rappresenta una sintesi del servizio “Correre al freddo è possibile”, di Luca Speciani, pubblicato su Correre n. 397, novembre 2017 (in edicola sabato 28 ottobre), alle pagine 72-73.