Quando un Crippa a Milano si ferma a vomitare, quando un Kipchoge a Boston non trova la forza per rispondere all’ennesimo incremento dell’andatura degli avversari, quando anche i “Kilian” e gli altri camosci umani dominatori dell’off road in certe salite camminano, ecco che nella mente degli appassionati la distanza dai più bravi si riduce e si annulla, perché l’amatore sente che il campione parla la sua stessa lingua: sofferenza a cui si resiste solo grazie alla passione.
«Anzi, proprio dagli amatori mi piacerebbe essere percepito con meno distanza, perché in fondo facciamo la stessa cosa e abbiamo la stessa passione. … Vorrei far capire che abbiamo tutti le stesse difficoltà e proviamo le stesse emozioni. Fatichiamo, ma non riusciamo a stare senza fatica.»
Queste parole sono di Yeman Crippa, cioè il più forte e completo mezzofondista azzurro di questa nostra epoca, e fanno capolino nell’intervista che apre Correre di maggio, effettuata da Francesca Grana a maratona di Milano ancora così vicina che il campione trentino non ha voluto correre nemmeno per il poco tempo necessario a qualche scatto: “Il riposo scritto nel programma del Pego (Massimo Pegoretti, suo allenatore) me lo prendo tutto”. Una settimana “sabbatica”, senza allenamenti, questo prevedeva “il programma del Pego”. Eccolo quindi immortalato, l’inedito Crippa che cammina e che camminando, immaginiamo ancora un po’ indolenzito, avrà probabilmente avuto tempo di meditare sulla nuova esperienza appena maturata nella più lunga delle prove olimpiche di corsa, quella ancora amata da tantissimi amatori e quella dove la “distanza” notata da Yeman è da sempre più ridotta di quella, parallela, che intercorre tra gli amatori stessi e i campioni della pista. A chi corre per passione, i protagonisti della pista suscitano ammirazione, quelli della strada, come quelli dei sentieri di trail running, ispirano invece confidenza. Sarà che la pista non ammette contaminazioni: le gare sono per giovani, assoluti o master, mentre la strada ti permette di partire assieme ai più bravi, anche se magari qualche “ondata” dopo. Una volta era questa l’arma letale degli sfottò tra amici al bar, nell’eterna (spesso apparente) contrapposizione tra podisti e calciatori: «Tu hai mai giocato con Totti? Io ho corso con Baldini!»
Ma non è solo la simultaneità della gara a fare la differenza: quando un Crippa a Milano si ferma a vomitare, quando un Kipchoge a Boston non trova la forza per rispondere all’ennesimo incremento dell’andatura degli avversari, quando anche i “Kilian” e gli altri camosci umani dominatori dell’off road in certe salite camminano, ecco che la distanza si riduce e si annulla, perché l’amatore sente che il campione parla la sua stessa lingua: sofferenza a cui si resiste solo grazie alla passione.
È per questo, caro Yeman, che su Correre ci sei tu, ma anche Maria Casciotti che a 38 anni ricomincia a preparare un campionato mondiale di triathlon, e le migliaia di appassionati che “ogni maledetta domenica” si ostinano a schiacciare il pulsante “start” del Cardio-GPS”, convinti che questa volta andrà meglio, e gli altrettanti che alla corsa chiedono ancora di più: un aiuto per ritrovare o migliorare la salute di corpo e mente.
Questa è la casa di tutti loro, di tutti voi. Le distanze ci sono, ci mancherebbe, le barriere no.